di Giorgio
Cimbrico
San Giorgio su Legnano
appartiene a quella Lombardia che, secondo Gianni Brera, un tempo era popolata
di tribù di pura razza ligure, un’area che si estendeva più a ovest, investendo
il Ticino (Tisin) anche sulla sponda piemontese. Probabile che, nelle
profondità di un tempo lontano e misterioso, nelle sfide di forza, destrezza e
resistenza tra i villaggi figurasse anche la corsa: i greci gareggiavano sullo
stadio – a palmi, i moderni 200 metri -, i liguri (non ancora longobardi) sul
campasc, il terreno incolto dove nessuno andava a sotterrar semi o tuberi.
E’ singolare – e anche
commovente – che le due corse campestri con i più solidi quarti di nobiltà
siano nate a pochi chilometri l’una dall’altra parte, lungo l’Olona: il
Campaccio di San Giorgio è spesso la gara dell’Epifania, nel freddo acuto; la
Cinque Mulini, come un rito ancestrale, coincide con la fine dell’inverno e il
rattrappirsi del buio. L’uno e l’altra sono le creature semplici e solide di
polisportive paesane che hanno finito per vedere i loro nomi stampati sui
calendari internazionali, i loro dirigenti stimati quanto quelli dei promoter
dei grandi meeting.
Corsa campestre, cross
country: un esercizio, un sacrificio nella neve, nel fango che diventa peso
supplementare, un rito, una festa, un’atmosfera che riporta a quella respirata
nelle classiche (sulle due ruote) del Nord, sul pavè o tra i boschi amari delle
Ardenne. E’ sempre con questi sapori in bocca, con queste immagini nella testa
che ci si avvicina a queste scadenze antiche che il tumultuoso presente non è
riuscito a sminuire, a smontare.
Il Campaccio fa parte di
questo scenario e a questo punto non sarebbe il caso di cercare altre immagini
o spendere molte altre parole e rimandare suiveur vecchi e adepti nuovi al
libro di Ennio Buongiovanni, poeta, cronista, cantastorie. In quelle pagine c’è
tutta la chanson de geste della corsa nell’annichilita campagna invernale che
gli italiani conoscono bene e che ha finito per conoscere anche chi qui atterra
dalla grande cicatrice della Rift Valley, dall’infinito altopiano attorno ad
Addis Abeba.
Ambu e Gebre, Ortis
e Kipchoge, Tergat e Bordin, Bekele e l’implacabile Panetta, quella buonanima
di Grete Waitz e Paula Radcliffe, Paola Pigni, suffragetta del nostro
mezzofondo, e Ingrid Kristiansen: è facendo frullare i pezzi colorati di un
caleidoscopio che può esser colta sino in fondo la bellezza di una lunga
storia.